Il Job Crafting, elaborato all’inizio degli anni 2000 dalle psicologhe statunitensi Wrzesniewski e Dutton (2001), si riferisce alla possibilità di rendere il proprio lavoro più coerente con le proprie inclinazioni. Il termine, infatti, deriva dal verbo inglese craft, letteralmente modellare, e indica il ruolo proattivo del lavoratore nel modificare le attività e i compiti da svolgere in modo da adattarli alle proprie caratteristiche e attitudini personali.
La teorizzazione di questo tema trae spunto dagli studi sui “lavori idiosincratici”, ovvero lavori che non sono ricondotti a termini contrattuali espliciti ma che piuttosto prediligono caratteristiche extra-economiche, come ad esempio l’atmosfera organizzativa o la fiducia (Bonazzi, 2007). Questi studi hanno cambiato radicalmente la concezione psicologica del lavoro favorendo il passaggio da una visione in cui si definivano i compiti indipendentemente da chi fosse a svolgerli a una visione dove le caratteristiche del singolo venivano prese maggiormente in considerazione. In linea con questo, il “nuovo” lavoratore è quindi un innovatore che cerca di ridefinire le caratteristiche delle attività e dei compiti che si trova a svolgere quotidianamente.
Due sono i modelli teorici che più hanno contribuito allo sviluppo del Job Crafting: il JD-R Model e il Job Identity Model. Il primo, ideato da Bakker e Demerouti nel 2007, definisce che questa attività di rimodellamento avrebbe lo scopo di bilanciare le job demands (le richieste) e le job resources (le risorse) che il lavoratore ha a disposizione. Mentre le richieste comportano uno sforzo fisico o mentale, le risorse facilitano l’individuo nel raggiungimento dei propri obiettivi, in quest’ottica, gli interventi di Job Crafting avrebbero quindi l’obiettivo di incrementare le risorse disponibili e ridurre le richieste dell’ambiente lavorativo (de Gennaro, Buonocore & Ferrara, 2017).
Il secondo modello teorico è stato proposto proprio da coloro le quali hanno elaborato il concetto di Job Crafting e sostiene che gli individui possono intervenire proattivamente per modificare i contenuti del proprio lavoro così da renderlo coerente con le proprie caratteristiche individuali (Wrzesniewski & Dutton, 2001). Il lavoratore può intervenire attraverso tre tipi di comportamento: Task crafting, Relational crafting e Cognitive crafting. Il primo modifica i confini della a mansione aggiungendo o rimuovendo alcuni dei compiti da svolgere. Il secondo, invece, prevede lo sviluppo della dimensione sociale del proprio lavoro tramite un rafforzamento delle relazioni con colleghi o clienti. Infine, il terzo tipo di Job Crafting si riferisce a un aspetto più mentale e psicologico del lavoro in cui l’individuo tenta di attribuire un significato più profondo alla mansione che svolge e alla missione sociale a essa correlata.
Partendo dagli studi di Wrzesniewski e Dutton (2001), altri autori hanno individuato un quarto comportamento di Job Crafting definito Contextual crafting, che attiva cambiamenti significativi nell’ambiente fisico dove viene svolto il lavoro, ad esempio, all’arredo o alla disposizione dell’ufficio (Sanders, Dorenbosch, Gründemann & Blonk, 2011).
Anche nei lavori più meccanici e strutturati è possibile adottare un certo livello di Job Crafting e questo si è dimostrato avere conseguenze positive sul singolo. Infatti, i lavoratori si sentono più realizzati e coinvolti ed esprimono sentimenti di gioia data dalla riduzione di situazioni stressanti. Dal punto di vista organizzativo invece, non si può parlare di effetti negativi o positivi.
La raccomandazione è quella di dialogare con i propri dipendenti e discutere insieme di quali cambiamenti potrebbe giovare sulla performance aziendale. Infatti, nel caso in cui le modificazioni non vadano nella stessa direzione degli obiettivi organizzativi, gli impatti potrebbero essere fortemente negativi (de Gennaro, Buonocore & Ferrara, 2017).
Bibliografia
Bakker, A. B., & Demerouti, E. (2007). The job demands‐resources model: State of the art. Journal of Managerial Psychology, 22(3): 309–328.
Bonazzi, G. (2007). Storia del pensiero organizzativo (Vol. 367). FrancoAngeli
de Gennaro, D., Buonocore, F., & Ferrara, M. (2017). Il significato del job crafting nell’organizzazione del lavoro: Inquadramento teorico, tendenze evolutive e prospettive manageriali. Electronic Journal of Management, 2, 1-20.
Sanders, J., Dorenbosch, L., Gründemann, R., & Blonk, R. (2011). Sustaining the Work Ability and Work Motivation of Lowereducated Older Workers: Directions for Work Redesign. Management Revue, 22(2): 132–150.
Wrzesniewski, A., & Dutton, J. E. (2001). Crafting a job: Revisioning employees as active crafters of their work. Academy of Management Review, 26(2): 179–201.
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