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Come definire gli obiettivi e monitorare i risultati del proprio team in Smart Working?

Lo Smart Working ha rivoluzionato il modo di lavorare e richiede di rivedere le logiche di pianificazione e monitoraggio degli obiettivi fino ad ora utilizzate.

Ora più che mai ai Manager viene chiesto di ripensare la gestione del team spostando il focus dalle attività agli obiettivi, dal controllo dei comportamenti al monitoraggio dei risultati chiave. Risulta importante una sempre più attenta schedulazione dei momenti di confronto con il proprio team e con i propri collaboratori.

Dal lavoro per compiti al lavoro per obiettivi SMART

Il primo passo da compiere per un Manager per la corretta gestione del proprio team è passare da un approccio basato sui compiti a un approccio basato sugli obiettivi. Facciamo chiarezza rispetto a questi due approcci:

  • L’approccio per compiti attiene alla cultura burocratica, persegue l’efficienza, presuppone un pensiero analitico – reattivo, richiede e sviluppa esecutività
  • L’approccio per obiettivi attiene alla cultura manageriale, persegue l’efficacia, presuppone un pensiero globale-proattivo, richiede e sviluppa responsabilità.

Questo passaggio si traduce da parte del Manager in un atteggiamento di maggiore delega e fiducia nei confronti dei propri collaboratori. Il cambio di approccio è sicuramente il primo passo da compiere ma non l’unico, infatti, è necessario che gli obiettivi siano SMART.

Cosa significa obiettivo SMART?

  • SPECIFICO
  • MISURABILE
  • ATTUABILE
  • RILEVANTE
  • TEMPORIZZATO

Come assicurarsi che gli obiettivi siano realmente SMART a livello pratico? Ecco la prova del 9 per la verifica: un obiettivo è considerato SMART se il Manager è in grado di rispondere in maniera puntuale alle seguenti domande:

  1. “Qual è il primo passo che posso compiere io o il mio team da subito per raggiungere l’obiettivo?”
  2. “Come farò a capire se e quando l’obiettivo verrà raggiunto?”
  3. “Quanto si sente impegnato il mio team sull’obiettivo da 0 a 10?”

 

Dall’obiettivo SMART ai risultati chiave (OKR)

Una volta che il Manager ha definito l’obiettivo SMART per il proprio team per il prossimo trimestre/semestre, è necessario declinare l’obiettivo SMART in risultati chiave.

A tal fine, ci si può avvalere del modello OKR (Obiettivi e Risultati Chiave), metodologia organizzativa per definire le priorità e concordare con il team le metriche:

  • Obiettivo inteso come la DIREZIONE, il cosa deve essere raggiunto. Un obiettivo deve essere significativo, concreto, orientato all’azione e motivante.
  • Risultato chiave definito il come si arriva all’obiettivo. I risultati chiave devono essere specifici, misurabili, limitati nel tempo, realistici, verificabili.

Ricordiamo che Meno è più, pochi obiettivi estremamente ben scelti. Troppi obiettivi, infatti, possono rendere meno precisa la focalizzazione su ciò che conta. In questo modo si dà al proprio team una “bussola” e un sistema di riferimento per il monitoraggio.

Ora risulta facile intuire quali siano i benefici legati a questa metodologia organizzativa. Innanzitutto, permette di focalizzare l’impegno sulle priorità e di rispettare le scadenze; inoltre, stimola maggiore coinvolgimento del proprio team e favorisce il feedback.

Quali RISULTATI CHIAVE attribuire ai propri COLLABORATORI per perseguire il risultato atteso nei prossimi mesi? È questa la domanda che un Manager deve porsi quando vuole tradurre gli obiettivi in risultati chiave. In alcuni casi, in base alla maturità professionale del collaboratore, è possibile CO-COSTRUIRE i risultati chiave.

In sintesi: Una volta individuati gli obiettivi per il proprio team, focalizzando le priorità, è importante per il Manager tradurre gli obiettivi in risultati chiave da delegare ai collaboratori, i quali possono decidere in autonomia quali attività fare per realizzarli.         

                                    

Comunicazione e condivisione di obiettivi e risultati chiave

Con lo Smart Working i principi per una corretta comunicazione e gestione del team non sono cambiati, tuttavia molti pensano che le nuove modalità di lavoro abbiano impoverito la comunicazione e le relazioni.  In effetti, le modalità di lavoro smart rendono più evidenti gli effetti di una comunicazione carente verso i collaboratori. Il lavoro a distanza richiede da parte del Manager una maggiore attenzione al come comunicare e richiede un’attenta e strutturata pianificazione dei momenti di scambio con il proprio team e con i singoli collaboratori.

Cosa fare? Comunicare e condividere gli obiettivi e i risultati chiave sia a livello di team sia a livello individuale.

Pianificare momenti di allineamento con il proprio team e con i collaboratori è necessario per verificare che si stia andando tutti nella stessa direzione e che si sia focalizzati sulle medesime priorità. L’interrogativo che deve guidare i Manager, soprattutto adesso che ci si vede meno e si comunica a distanza, è: anche i miei collaboratori hanno chiari gli obiettivi del nostro team?

Come rendere efficaci i momenti di allineamento e confronto?

Ecco alcune buone pratiche per la comunicazione degli obiettivi a livello di team:

  1. Incontri di condivisione. Organizzare sia una riunione iniziale di condivisione degli obiettivi, sia riunioni settimanali di condivisione e avanzamento (1 ora/ 1 ora e mezzo circa). È importante fare una schedulazione di lungo periodo degli incontri, in modo da facilitare l’organizzazione di tutti.
  2. Strumenti. Individuare un canale adatto a questi momenti di condivisione e avanzamento (ad esempio la piattaforma in uso in azienda) e creare un canale dedicato per il repository, così che tutti possano avere i materiali e le informazioni necessarie.
  3. Modalità. Stimolare alcune buone pratiche comportamentali da adottare durante gli incontri: tenere la telecamera accesa, avere un comportamento partecipativo e proattivo.

Il passo successivo per il Manager è condividere con i collaboratori i risultati chiave, mediante incontri individuali. In base alla maturità professionale del collaboratore, il Manager può valutare se co-costruire i risultati chiave o se assegnarli. In una prima fase di implementazione degli OKR, per «rodare» la metodologia si suggerisce di ipotizzare prima dell’incontro di condivisione i risultati chiave, in modo da essere pronti nel momento di discussione/negoziazione con il collaboratore.

Ecco alcune buone pratiche per la comunicazione dei risultati chiave a livello individuale:

  1. Fissare un incontro individuale, anche in modalità virtuale, per concordare/condividere i risultati chiave con il proprio collaboratore.
  2. Chiedere al collaboratore di identificare le azioni/attività che intende mettere in pratica per realizzare i risultati chiave concordati, accompagnando il collaboratore nella costruzione del «piano di azione»
  3. Chiarire che il monitoraggio avverrà sui risultati chiave e non sulle singole attività. Schedulare a tal fine incontri di monitoraggio frequenti e costanti nel tempo per evitare slittamenti e poter intraprendere eventuali azioni correttive.

Monitoraggio dei risultati chiave

“Le persone hanno un forte desiderio di sapere che progressi stanno facendo” è proprio da questa considerazione attinta dal testo di John Doerr “OKR” che affrontiamo l’ultimo step per il Manager: il feedback di monitoraggio individuale. Facciamo chiarezza rispetto al significato di monitoraggio, spesso confuso con controllo:

  • Il monitoraggio non entra nel merito dell’azione ma si basa sull’avanzamento rispetto ai risultati chiave
  • Il monitoraggio implica una relazione simmetrica nella quale gli interlocutori condividono punti di attenzione e buone pratiche per raggiungere un obiettivo
  • Dal monitoraggio si può partire per definire, insieme al collaboratore, le modalità migliori per realizzare i risultati

In quest’ottica i momenti di monitoraggio spostano il focus dall’osservazione del comportamento (spesso non possibile nel lavoro smart) al monitoraggio dei risultati. Il feedback diventa un momento di allineamento reciproco, nel quale si cerca di capire come sta procedendo il lavoro, se ci sono difficoltà e fa riflettere il collaboratore sui comportamenti agiti per raggiungere i risultati chiave. Con lo Smart Working, questi momenti diventano sempre più preziosi, sia per i collaboratori che per i Manager.

In sintesi, il Manager definisce gli obiettivi che focalizzano le priorità, traduce gli obiettivi in risultati chiave da concordare e delegare ai collaboratori, i quali decidono quali attività fare per realizzarli.

In questo modo, il Manager evita il micro-management e i collaboratori aumentano autonomia e responsabilizzazione … la sfida per il Manager è l’equilibrio tra allineamento e autonomia!

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Smart Attitude For Working Smart

L’emergenza sanitaria ha costretto le organizzazioni ad accelerare o, spesso, a istituire da zero l’implementazione del lavoro smart. Tuttavia, data la repentinità dell’adozione delle misure precauzionali, molte aziende hanno riscontrato rilevanti difficoltà nel riuscire a godere dei vantaggi che questo nuovo modo di lavorare offre sia alle persone sia al business. Per non disperdere le energie e apprendere dall’esperienza vissuta su cosa possiamo investire?

La nostra risposta è sviluppare la Smart Attitude

Che cos’è la Smart Attitude?

Nell’articolo Smart working: soltanto una questione digital? avevamo già messo in evidenza quanto le competenze trasversali, in combinazione a quelle digitali, siano necessarie per mettere a frutto le opportunità che le risorse tecnologiche offrono. Per Smart Attitude si intende l’insieme di competenze e attitudini che permettono alle persone di essere coinvolte nel processo di cambiamento, sviluppando consapevolezza sulle aree di sviluppo su cui lavorare per costituire una modalità di lavoro smart che sia confacente alle esigenze delle persone e dell’organizzazione stessa.

Come fare a evolvere la nostra organizzazione rispetto allo Smart Working? Puntando sulle risorse delle persone.

Per farlo è prima di tutto necessario mapparle attraverso un assessment che rilevi le competenze in ambito di:

  • Digital skills & behaviours, ovvero competenze in ambito digitale;
  • Change attitude, ovvero l’attitudine al cambiamento e la propensione a esserne promotori;
  • Innovation & Entrepreneurship, ovvero competenze e attitudini in termini di innovazione e proattività;
  • Social agility, ovvero abilità nel leggere le relazioni con gli altri come risorse per lo sviluppo continuo;
  • Task management, ovvero la percezione di essere in grado di utilizzare appieno le risorse tecnologiche messe a disposizione.

Una volta mappate le risorse possedute dalle persone, è necessario sviluppare le competenze chiave per coltivare la propria Smart Attitude e contribuire attivamente alla trasformazione del lavoro in azienda. Tali competenze sono:

  • Orientamento agli obiettivi: lavorare in smart working vuol dire lavorare per obiettivi, traguardi da raggiungere;
  • Fiducia: su cui costruire non solo le relazioni capo-collaboratore ma anche quelle fra colleghi;
  • Organizzazione e pianificazione: essere in grado di gestire le attività funzionali al raggiungimento degli obiettivi prefissati;
  • Comunicazione: intesa sia come fluidità dei flussi informativi sia come efficacia nel dare e richiedere feedback.

Possedere Smart Attitude vuol dire anche conoscere e saper adottare gli strumenti che facilitano la trasposizione dei processi lavorativi nella modalità agile.

Infatti, progettare il lavoro smart con l’intento di traslare i medesimi processi e le medesime dinamiche dal canale offline a quello online segnerebbe un implicito fallimento nel raggiungere lo scopo data la profonda differenza che c’è fra le due modalità. Pertanto, risulta necessario riformulare la concezione del lavoro in termini di autonomia e flessibilità nella gestione del lavoro, che non può prescindere da relazioni di fiducia e trasparenza tra colleghi.

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Digital Transformation: quattro passi per il successo

Una delle sfide più importanti, che molte aziende stanno affrontando al giorno d’oggi, è rappresentata dalla Digital Transformation. La diffusione di tecnologie digitali su gran parte della popolazione ha comportato la richiesta di servizi di maggiore qualità, in tempistiche più brevi e che sfruttino appunto il canale digitale.

I dati di un’indagine condotta da Digitalic fanno emergere alcune osservazioni rilevanti su questo tema. Poco più della metà delle organizzazioni prese in esame (64,5%) ha dichiarato di essere ottimista circa la propria abilità di adattarsi alla trasformazione digitale nell’arco di un triennio, mentre il 35,4% è preoccupato di non riuscirci.

La domanda che sorge quindi è: come aumentare le probabilità di successo di un intervento di Digital Transformation? E ancora, come far diventare la digitalizzazione proprio il punto di forza dell’organizzazione?

1^ Reclutare la squadra

La prima cosa da fare per prepararsi a una sfida? Costruire una squadra che sia di supporto e promotrice del cambiamento digitale e, inoltre, che sia rappresentata capillarmente in tutte le funzioni e uffici dell’organizzazione.

Per individuare le persone giuste sarà necessario identificare le caratteristiche ideali che devono avere e indagarle in modo mirato, ad esempio, attraverso un assessment online.

Cosa non può mancare alle figure chiave della Digital Tranformation?

  • Attitudine al digitale – è importante che abbiano un livello di competenze digitali per essere autonome e per vederne il potenziale
  • Attitudine all’innovazione –è necessario individuare nel nuovo un’opportunità di miglioramento del lavoro e dell’organizzazione…
  • Attitudine al cambiamento – …e implementarlo!
  • Attitudine alla relazione – considerare gli altri come risorse preziose per co-costruire i cambiamenti
  • Motivazione – è la voglia di mettersi in gioco e diffondere l’attitudine al digitale all’interno dell’organizzazione.

2^ Portarla a bordo

Lo step successivo è quello di portare la squadra a “bordo”. La propensione del gruppo al digitale costituisce la base di partenza per l’ingaggio sulle successive azioni.

Come farlo? Parlando in chiave digital e smart, le riunioni digitali o webinar interattivi sono lo strumento per illustrare l’intero impianto del progetto (descrivere l’obiettivo, condividere il ruolo che la squadra avrà e come verrà formata).

3^ Addestramento per la scesa in campo

L’obiettivo è quello di dotare la squadra degli strumenti per il raggiungimento della digitalizzazione organizzativa. Il presupposto è che la Digital Transformation riguarda senza dubbio l’innovazione tecnologica, ma è necessario a monte un nuovo approccio di carattere culturale che modifichi il mindset delle persone.

La squadra dei promotori della Digital Transformation dovrà:

  • Migliorare la capacità di utilizzare le tecnologie digitali all’interno dell’organizzazione. Non si tratta solo di acquisire competenze di tipo tecnico ma di saper sempre più comprendere e apprezzare il ruolo che il digitale ricopre nella vita quotidiana e professionale.
  • Motivare i colleghi a credere nel processo di Digital Transformation, a sentirsi parte integrante del cambiamento, a comprenderne i vantaggi. È importante dunque divenire narratori credibili, poiché uno storytelling coinvolgente trasmette emozioni in grado di “attivare” nuovi comportamenti.
  • Abbandonare la logica del timore di correre rischi o fallire per svilupparne una diversa: l’errore come fattore abilitante dell’apprendimento e quindi del cambiamento. È assolutamente necessario creare un ambiente in cui le persone possano commettere errori. Questo incoraggia ciascuno a sperimentare, innovare e aiutare l’organizzazione a crescere.
  • Tenere sempre a mente che, affinché la Digital Transformation possa agire con successo, è essenziale non lasciare indietro nessuno nell’acquisizione di competenze digitali. È necessario, quindi, elaborare strategie per colmare il divario digitale e assicurarsi che tutti nell’organizzazione traggano vantaggio dalla trasformazione.

4^ Passare all’azione

Qui la squadra entra in piena attività con la raccolta del fabbisogno digitale, che emerge dai colleghi e con lo sviluppo condiviso di proposte e soluzioni da implementare. Quest’ultime sono utili per rispondere alle esigenze emerse e, soprattutto, per ripensare e semplificare in chiave digitale i processi esistenti.

In tal senso, la squadra avrà un ruolo fondamentale, da un lato per coinvolgere i colleghi nella fase ideativa, dall’altro per abilitare una fase di implementazione delle idee che possa trovare nei colleghi un atteggiamento aperto nei confronti delle nuove soluzioni digitali.

 

In conclusione

La Digital Transformation sta permeando tutte le organizzazioni, sia pubbliche sia private, sia quelle di maggiore “orientamento al digitale” sia quelle che fino ad ora si sono rivelate più restie alla nuova tecnologia.

Tuttavia, per quanto la preoccupazione di non farcela comprensibilmente può caratterizzare l’approccio al nuovo, avere dalla parte del cambiamento le persone che saranno coinvolte e renderle co-autrici, faciliterà l’accettazione del nuovo, poiché interpretato come un’opportunità di miglioramento.

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I migliori Brand Ambassador o Change Agent? I tuoi collaboratori!

Oggi le aziende si trovano davanti alla necessità di attuare numerosi e frequenti cambiamenti a diversi livelli, in un mondo interconnesso e permeato dalla componente digital. La competizione, tanto di risorse quanto di talenti, è sempre più elevata, ma un fattore potenzialmente in grado di aumentare la produttività organizzativa si trova proprio all’interno delle aziende: i suoi dipendenti.

Se sufficientemente ingaggiati, infatti, saranno più tendenti ad agire comportamenti extra-ruolo, a fare raccomandazioni in merito a cambiamenti e miglioramenti che si potrebbero apportare in azienda, e a promuovere quest’ultima all’esterno.

In altre parole, è possibile sviluppare la motivazione e le competenze dei propri collaboratori rendendoli Brand Ambassador o Change Agent, permettendogli e incoraggiandoli a mettere in atto comportamenti organizzativi distintivi e coerenti con la strategia aziendale e capaci di favorire il successo dell’organizzazione.

Brand Ambassador

Il Brand Ambassador è qualcuno che promuove attivamente il brand verso l’ecosistema esterno, attira nuovi talenti, agisce comportamenti comunicativi e supportivi, difende il marchio da eventuali critiche e riporta all’interno le informazioni e le opinioni degli stakeholder utili per lo sviluppo del brand.

Avere collaboratori che mettono in atto comportamenti di branding è utile per svariati motivi, ad esempio:

  • aumenta considerevolmente il numero di application
  • consolida l’immagine del brand all’esterno promuovendone i valori
  • agisce positivamente sulla Customer Experience

La figura del Brand Ambassador può essere quindi di importanza strategica, ma le organizzazioni non possono aspettarsi che tutti i lavoratori ricoprano questo “ruolo” di loro iniziativa, o che abbiano le competenze per farlo.

Sono quindi necessari interventi che promuovano in maniera genuina e non prescrittiva atteggiamenti e comportamenti di branding tra i collaboratori.

Change Agent

Se il Brand Ambassador rivolge le sue attività prevalentemente verso l’esterno dell’organizzazione, il ruolo del Change Agent si concentra sulla facilitazione e l’accelerazione del cambiamento all’interno dell’organizzazione. È infatti un collaboratore che riesce a vedere lo stato futuro e desiderato dell’organizzazione, individuando il gap con lo stato corrente, contribuendo allo sviluppo di una cultura di apprendimento e miglioramento continuo.

Talvolta le aziende possono ricorrere all’aiuto di un Change Agent esterno, che possiede conoscenze e competenze specifiche per esercitare il ruolo. Il vantaggio che però può rappresentare fare dei propri collaboratori dei Change Agent interni è la loro comprensione della storia e della cultura organizzativa, delle procedure e del tessuto relazionale dell’azienda.

Per “reclutare” Brand Ambassador interni, come si è visto, è importante soprattutto motivare e ingaggiare i collaboratori. Per i Change Agent è necessario un approccio differente: oltre a fornire le condizioni e gli strumenti per permettere loro di facilitare il cambiamento, è fondamentale individuare i collaboratori più adatti a ricoprire il ruolo.

Questi ultimi sembrano essere accomunati da specifiche caratteristiche di personalità (self-efficacy, resilienza, apertura mentale, creatività, positività, coraggio, etc.) e competenze (comunicazione, problem solving, flessibilità, pensiero strategico, negoziazione, networking, etc.).

I migliori candidati a diventare Change Agent possono essere reclutati attraverso diversi processi:

  • Richiesta di una “shortlist” di candidati direttamente ai Manager delle aree organizzative interessate, sulla base di un “profilo ideale” condiviso
  • Identificazione di alcune risorse dal bacino dei programmi di Talent Management
  • Selezione sulla base dei sistemi di valutazione delle competenze vigenti, andando a ricercare le persone che possiedono le più solide competenze relazionali e cognitive
  • Realizzazione di una Social Network Analysis che permette di selezionare le persone più influenti e centrali all’interno di una rete relazionale.

In sintesi, i due profili presentano sia alcune importanti differenze, sia alcune caratteristiche comuni. Per questo è auspicabile prevedere una parte del percorso di accompagnamento ai ruoli che coinvolga, insieme, sia i futuri Change Agent che i futuri Brand Ambassador.

I 5 fattori di successo di un programma di Brand Ambassador e Change Agent

Affinché Brand Ambassador e Change Agent producano un impatto visibile e significativo nel contesto organizzativo, tuttavia, non basta semplicemente identificarli opportunamente, ma occorre assicurare e progettare alcuni fattori critici di successo:

  1. Definizione chiara e condivisa della MISSION: qual è la raison d’etre organizzativa di Brand Ambassador / Change Agent? A quali finalità di alto livello devono essere orientati? Come si inscrive la loro presenza nelle strategie aziendali?
  2. Esplicitazione e chiarimento del sistema di ASPETTATIVE comportamentali: cosa si aspetta l’organizzazione da Change Agent e Brand Ambassador? Quali linee guida di “stile” comportamentale dovranno seguire? Su quali indicatori sarà misurata la loro efficacia e il successo della loro azione?
  3. Sviluppo delle COMPETENZE abilitanti necessarie ad agire con efficacia e consapevolezza i due ruoli: cosa devono sapere / saper fare Brand Ambassador e Change Agent per essere efficaci nelle cornici di ruolo disegnate per loro?
    Ad esempio, un Brand Ambassador dovrà consolidare le proprie competenze di Personal Branding e di utilizzo dei Social Media; per un Change Agent è indispensabile acquisire nozioni di base di Change Management e strumenti derivanti dalla comunicazione persuasiva, dalla facilitazione e dalla psicologia dei gruppi
  4. Coinvolgimento diretto in PROGETTI chiave: in quali cantieri verranno coinvolti direttamente Change Agent e Brand Ambassador? Che contributo ci si aspetta da loro? Come condividere il significato della loro presenza con gli altri stakeholder?
  5. Strutturazione di processi e strumenti di SUPPORTO alla loro azione: su quali risorse / corsie preferenziali / meccanismi operativi potranno contare per «dare gambe» alla propria azione? Chi li coordinerà? Come sarà monitorata e supervisionata la loro azione?

Per concludere, è necessario precisare due aspetti che dovrebbero caratterizzare entrambi i percorsi di accompagnamento ai due profili:

  • Se i comportamenti di cui si vuole facilitare l’espressione sono extra-ruolo, aggiungendosi quindi alle attività previste dalla mansione del collaboratore, comunque vengano reclutati, l’effettiva adesione al ruolo di Change Agent o Brand Ambassador deve essere volontaria;
  • prima di qualsiasi attività diretta ai futuri Change Agent e Brand Ambassador è essenziale preparare il Management all’introduzione dei nuovi due ruoli, per sviluppare una cultura aziendale che ne conosca il senso, ne riconosca il valore e generi un terreno fertile per la loro azione.
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Wellbeing? Cosa fare per le persone che lavorano in azienda?

Data la crescente consapevolezza che le risorse umane in quanto “persone” all’interno delle organizzazioni, sono determinanti a “far accadere le cose” e quindi decisive per il successo dell’azienda, è indispensabile comprendere come effettivamente stiano e vivano l’azienda. È rilevante indagare il loro “sentire” l’organizzazione, i gruppi di appartenenza riguardo alle rispettive finalità e valori personali.

Le indagini di clima “generiche” prendono in considerazione le consuete dimensioni organizzative sulle quali le aziende pensano di poter far leva per l’engagement: il rapporto con i capi, le possibilità di carriera, l’adeguatezza della formazione… le più evolute verificano l’adeguatezza di piani di welfare.

Quasi al polo opposto altre indagini si occupano della felicità in azienda, come se la felicità fosse una dimensione che la persona “deve” avere nel contesto in cui opera.

Ma cosa serve sapere veramente? Se sono ingaggiati? Se avranno un atteggiamento proattivo? Se condividono la missione e la visione dell’azienda? Se sono felici? Queste sono dimensioni molto cognitive, ma è così che le persone sentono, scelgono, operano?

Non è forse meglio domandarsi quali dimensioni emotive possono entrare in gioco?

In passato si è sempre data importanza al “bene-essere” in un’ottica di buona salute fisica piuttosto che salute mentale ed emotiva, definendo “buona salute” principalmente “assenza di malattia o disabilità”.

Ciò spiega, in parte, perché i datori di lavoro hanno utilizzato gli stessi parametri per indirizzare i tipi di programmi adottati nell’ambito del benessere sul lavoro. Infatti, ciò che valeva per comunità medica poteva essere comprensibilmente valido per il mondo del lavoro.

Il concetto di benessere, d’altra parte, è molto più ampio della semplice salute fisica. Tiene conto dell’intera persona, sia del corpo che della mente, e non semplicemente dell’”assenza di malattia”. Il suo approccio alla “salute” include la presenza di pensieri, emozioni e stati d’animo positivi.

Nei suoi termini più semplici, il benessere può essere descritto come uno stato di buona salute, felicità, appagamento e scopo, giudicare positivamente la propria vita e sentirsi impegnati. L’impegno, dal punto di vista del luogo di lavoro, è la connessione emotiva che i dipendenti hanno con il proprio lavoro, team e datore di lavoro e il loro scopo più elevato acquisito lavorando.

Volendo innalzare il benessere in azienda si può lavorare su due macroaree, fra loro integrate: benessere individuale e benessere organizzativo.

Nell’ambito del benessere individuale, diverse sono le aree su cui si può agire: ad esempio la gestione del tempo e work life balance, ovvero nella capacità di organizzarsi coniugando esigenze lavorative con quelle della vita privata; la gestione delle emozioni, wellness e mindfulness per ridurre stress, ansia e incanalare le energie per attuare strategie comportamentali efficaci; oppure sviluppo e individuazione di attività lavorative e iniziative extra-lavorative che possono portare a una crescita e sviluppo personale, favorendo l’interazione e l’integrazione con l’ambiente che circonda l’individuo.

Nell’ambito del benessere organizzativo, invece, si può agire sul networking, rendendo le persone consapevoli di far parte della catena del valore e favorirne le relazioni, individuando anche spazi fisici di lavoro che ne facilitino le interazioni, anche informali, tra i dipendenti. Costituire gruppo di miglioramento che fungano da riferimento per necessità o problemi che possono emergere all’interno dell’azienda che possano supportare nell’individuazione delle cause e relative possibili soluzioni, oppure implementazione dello smart working per una modalità di lavoro agile.

Tutto questo riconoscendo che le persone sono importanti e determinanti per il successo di un’organizzazione e il loro benessere, ad ampio spettro, è da tenere in assoluta priorità per garantire eccellenti performance aziendali.

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