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Come definire gli obiettivi e monitorare i risultati del proprio team in Smart Working?

Lo Smart Working ha rivoluzionato il modo di lavorare e richiede di rivedere le logiche di pianificazione e monitoraggio degli obiettivi fino ad ora utilizzate.

Ora più che mai ai Manager viene chiesto di ripensare la gestione del team spostando il focus dalle attività agli obiettivi, dal controllo dei comportamenti al monitoraggio dei risultati chiave. Risulta importante una sempre più attenta schedulazione dei momenti di confronto con il proprio team e con i propri collaboratori.

Dal lavoro per compiti al lavoro per obiettivi SMART

Il primo passo da compiere per un Manager per la corretta gestione del proprio team è passare da un approccio basato sui compiti a un approccio basato sugli obiettivi. Facciamo chiarezza rispetto a questi due approcci:

  • L’approccio per compiti attiene alla cultura burocratica, persegue l’efficienza, presuppone un pensiero analitico – reattivo, richiede e sviluppa esecutività
  • L’approccio per obiettivi attiene alla cultura manageriale, persegue l’efficacia, presuppone un pensiero globale-proattivo, richiede e sviluppa responsabilità.

Questo passaggio si traduce da parte del Manager in un atteggiamento di maggiore delega e fiducia nei confronti dei propri collaboratori. Il cambio di approccio è sicuramente il primo passo da compiere ma non l’unico, infatti, è necessario che gli obiettivi siano SMART.

Cosa significa obiettivo SMART?

  • SPECIFICO
  • MISURABILE
  • ATTUABILE
  • RILEVANTE
  • TEMPORIZZATO

Come assicurarsi che gli obiettivi siano realmente SMART a livello pratico? Ecco la prova del 9 per la verifica: un obiettivo è considerato SMART se il Manager è in grado di rispondere in maniera puntuale alle seguenti domande:

  1. “Qual è il primo passo che posso compiere io o il mio team da subito per raggiungere l’obiettivo?”
  2. “Come farò a capire se e quando l’obiettivo verrà raggiunto?”
  3. “Quanto si sente impegnato il mio team sull’obiettivo da 0 a 10?”

 

Dall’obiettivo SMART ai risultati chiave (OKR)

Una volta che il Manager ha definito l’obiettivo SMART per il proprio team per il prossimo trimestre/semestre, è necessario declinare l’obiettivo SMART in risultati chiave.

A tal fine, ci si può avvalere del modello OKR (Obiettivi e Risultati Chiave), metodologia organizzativa per definire le priorità e concordare con il team le metriche:

  • Obiettivo inteso come la DIREZIONE, il cosa deve essere raggiunto. Un obiettivo deve essere significativo, concreto, orientato all’azione e motivante.
  • Risultato chiave definito il come si arriva all’obiettivo. I risultati chiave devono essere specifici, misurabili, limitati nel tempo, realistici, verificabili.

Ricordiamo che Meno è più, pochi obiettivi estremamente ben scelti. Troppi obiettivi, infatti, possono rendere meno precisa la focalizzazione su ciò che conta. In questo modo si dà al proprio team una “bussola” e un sistema di riferimento per il monitoraggio.

Ora risulta facile intuire quali siano i benefici legati a questa metodologia organizzativa. Innanzitutto, permette di focalizzare l’impegno sulle priorità e di rispettare le scadenze; inoltre, stimola maggiore coinvolgimento del proprio team e favorisce il feedback.

Quali RISULTATI CHIAVE attribuire ai propri COLLABORATORI per perseguire il risultato atteso nei prossimi mesi? È questa la domanda che un Manager deve porsi quando vuole tradurre gli obiettivi in risultati chiave. In alcuni casi, in base alla maturità professionale del collaboratore, è possibile CO-COSTRUIRE i risultati chiave.

In sintesi: Una volta individuati gli obiettivi per il proprio team, focalizzando le priorità, è importante per il Manager tradurre gli obiettivi in risultati chiave da delegare ai collaboratori, i quali possono decidere in autonomia quali attività fare per realizzarli.         

                                    

Comunicazione e condivisione di obiettivi e risultati chiave

Con lo Smart Working i principi per una corretta comunicazione e gestione del team non sono cambiati, tuttavia molti pensano che le nuove modalità di lavoro abbiano impoverito la comunicazione e le relazioni.  In effetti, le modalità di lavoro smart rendono più evidenti gli effetti di una comunicazione carente verso i collaboratori. Il lavoro a distanza richiede da parte del Manager una maggiore attenzione al come comunicare e richiede un’attenta e strutturata pianificazione dei momenti di scambio con il proprio team e con i singoli collaboratori.

Cosa fare? Comunicare e condividere gli obiettivi e i risultati chiave sia a livello di team sia a livello individuale.

Pianificare momenti di allineamento con il proprio team e con i collaboratori è necessario per verificare che si stia andando tutti nella stessa direzione e che si sia focalizzati sulle medesime priorità. L’interrogativo che deve guidare i Manager, soprattutto adesso che ci si vede meno e si comunica a distanza, è: anche i miei collaboratori hanno chiari gli obiettivi del nostro team?

Come rendere efficaci i momenti di allineamento e confronto?

Ecco alcune buone pratiche per la comunicazione degli obiettivi a livello di team:

  1. Incontri di condivisione. Organizzare sia una riunione iniziale di condivisione degli obiettivi, sia riunioni settimanali di condivisione e avanzamento (1 ora/ 1 ora e mezzo circa). È importante fare una schedulazione di lungo periodo degli incontri, in modo da facilitare l’organizzazione di tutti.
  2. Strumenti. Individuare un canale adatto a questi momenti di condivisione e avanzamento (ad esempio la piattaforma in uso in azienda) e creare un canale dedicato per il repository, così che tutti possano avere i materiali e le informazioni necessarie.
  3. Modalità. Stimolare alcune buone pratiche comportamentali da adottare durante gli incontri: tenere la telecamera accesa, avere un comportamento partecipativo e proattivo.

Il passo successivo per il Manager è condividere con i collaboratori i risultati chiave, mediante incontri individuali. In base alla maturità professionale del collaboratore, il Manager può valutare se co-costruire i risultati chiave o se assegnarli. In una prima fase di implementazione degli OKR, per «rodare» la metodologia si suggerisce di ipotizzare prima dell’incontro di condivisione i risultati chiave, in modo da essere pronti nel momento di discussione/negoziazione con il collaboratore.

Ecco alcune buone pratiche per la comunicazione dei risultati chiave a livello individuale:

  1. Fissare un incontro individuale, anche in modalità virtuale, per concordare/condividere i risultati chiave con il proprio collaboratore.
  2. Chiedere al collaboratore di identificare le azioni/attività che intende mettere in pratica per realizzare i risultati chiave concordati, accompagnando il collaboratore nella costruzione del «piano di azione»
  3. Chiarire che il monitoraggio avverrà sui risultati chiave e non sulle singole attività. Schedulare a tal fine incontri di monitoraggio frequenti e costanti nel tempo per evitare slittamenti e poter intraprendere eventuali azioni correttive.

Monitoraggio dei risultati chiave

“Le persone hanno un forte desiderio di sapere che progressi stanno facendo” è proprio da questa considerazione attinta dal testo di John Doerr “OKR” che affrontiamo l’ultimo step per il Manager: il feedback di monitoraggio individuale. Facciamo chiarezza rispetto al significato di monitoraggio, spesso confuso con controllo:

  • Il monitoraggio non entra nel merito dell’azione ma si basa sull’avanzamento rispetto ai risultati chiave
  • Il monitoraggio implica una relazione simmetrica nella quale gli interlocutori condividono punti di attenzione e buone pratiche per raggiungere un obiettivo
  • Dal monitoraggio si può partire per definire, insieme al collaboratore, le modalità migliori per realizzare i risultati

In quest’ottica i momenti di monitoraggio spostano il focus dall’osservazione del comportamento (spesso non possibile nel lavoro smart) al monitoraggio dei risultati. Il feedback diventa un momento di allineamento reciproco, nel quale si cerca di capire come sta procedendo il lavoro, se ci sono difficoltà e fa riflettere il collaboratore sui comportamenti agiti per raggiungere i risultati chiave. Con lo Smart Working, questi momenti diventano sempre più preziosi, sia per i collaboratori che per i Manager.

In sintesi, il Manager definisce gli obiettivi che focalizzano le priorità, traduce gli obiettivi in risultati chiave da concordare e delegare ai collaboratori, i quali decidono quali attività fare per realizzarli.

In questo modo, il Manager evita il micro-management e i collaboratori aumentano autonomia e responsabilizzazione … la sfida per il Manager è l’equilibrio tra allineamento e autonomia!

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Come usare meglio le energie mentali in Smart Working?

Mai come in questo ultimo anno il panorama scientifico è stato caratterizzato da studi sullo Smart Working con l’obiettivo di presentarne ad aziende e dipendenti i benefici.

Se sfruttato nella maniera giusta, infatti, lo Smart Working offre diversi benefici. Alcuni dati raccolti dopo il periodo di lockdown hanno evidenziato una diminuzione dello stress per il 55% dei dipendenti, mentre oltre il 90% ha dichiarato di aver recuperato il tempo solitamente sprecato nello spostamento dalla propria casa all’ufficio[1]. Inoltre, il 46% degli smart workers è riuscito a gestire meglio l’equilibrio tra vita familiare e professionale, e il 35% si è sentito più motivato e coinvolto[2].

Tuttavia, affinché lo Smart Working riesca a produrre questi benefici è importante consolidare la propria capacità di gestire correttamente le energie mentali, altrimenti il rischio è quello dell’iperlavoro, della frammentazione delle attività e della perdita di focalizzazione.

I due nemici della focalizzazione: multitasking e interruzioni

Un celebre esperimento del 1999 di Chabris e Simons ha dimostrato quanto la nostra capacità di attenzione sia estremamente limitata.

Provatelo qui.

L’attenzione selettiva è la capacità di concentrarsi su uno stimolo ed elaborarlo in maniera privilegiata per il raggiungimento di uno specifico obiettivo. Infatti, lo stimolo a cui si presta attenzione viene selezionato ed elaborato in maniera più efficiente rispetto a tutti gli altri presenti nell’ambiente: questo costituisce un fattore di fondamentale importanza quando si parla di Smart Working.

Mantenere l’attenzione focalizzata su una particolare attività richiede tante energie mentali. Per gestirle al meglio dobbiamo imparare a evitare due pessime abitudini che rischiano di essere amplificate quando si lavora in Smart Working: il multitasking e le interruzioni.

Il termine multitasking, parola ormai di uso comune, deriva dell’informatica e indica la capacità di un sistema operativo di eseguire più programmi contemporaneamente; essere persone multitasking significa, quindi, riuscire a svolgere più attività nello stesso momento. Si tratta di un fenomeno complesso che ha preso piede negli ultimi anni, probabilmente a causa dalla velocissima trasformazione del contesto culturale e sociale in cui viviamo. Di conseguenza, essere multitasking è oggi oggetto di vanto – un’abilità da allenare per stare al passo con i tempi.

Sorge però spontanea la domanda: essere multitasking è davvero un pregio? In realtà, quando ci troviamo ad affrontare attività che richiedono concentrazione e attenzione focalizzate, il multitasking diventa piuttosto un’illusione, che ci induce a credere di riuscire a fare bene più cose contemporaneamente.

Ad esempio, riuscireste a portare a termine il calcolo di una difficile operazione matematica mentre recitate ad alta voce il primo canto della Divina Commedia?

Il nostro cervello lavora bene in serie, ma malissimo in parallelo, è perciò impossibile riuscire a portare a termine due attività complesse svolgendole nello stesso momento. Tutt’al più possiamo fare un compito che eseguiamo automaticamente, come ad esempio guidare, e un compito che ci richiede uno sforzo, come parlare con la persona seduta accanto a noi. Tuttavia, già in questo caso la nostra attenzione si riduce molto rendendoci meno preparati ad affrontare un imprevisto.

Un’altra cattiva abitudine è il passaggio continuo da un’attività all’altra, attraverso interruzioni del lavoro. Le mail, le urgenze, le notifiche dello smartphone sono tutti elementi che catturano la nostra attenzione spingendoci a mettere in pausa l’attività che stiamo svolgendo. Come detto in precedenza, il nostro cervello lavora meglio quando può concentrarsi su una singola attività, per cui il rimbalzo frenetico tra azioni diverse ci rende poco efficienti ed efficaci, aumentando invece stress e affaticamento.

Se, ad esempio, interrompiamo la stesura di un documento importante a causa dell’arrivo improvviso di una mail e del nostro desiderio di aprirla, leggerla e rispondere aumenteremo – in media del 30%[3] – il tempo necessario per terminare la nostra attività principale, raddoppiando inoltre la probabilità di errore[4]

Questa disorganizzazione è un pessimo modo di sprecare le nostre energie mentali diminuendo il livello finale di performance.

Le due buone pratiche da non sottovalutare

La prima buona pratica per migliorare l’uso delle energie mentali in Smart Working consiste nel fare una cosa alla volta, concentrando tutta l’attenzione disponibile su quella.

Nonostante il contesto lavorativo ci spinga a portare avanti più attività contemporaneamente, è importante allenarsi a resistere e a controllare l’utilizzo della nostra attenzione in maniera più consapevole e intenzionale.

Partiamo dal presupposto che la nostra energia mentale è una risorsa limitata e preziosa, da cui dipende il raggiungimento dei nostri obiettivi e che abbiamo la responsabilità di gestire al meglio e di proteggere, quando serve.

Utile, in quest’ottica, lavorare tenendo chiuso il client di posta elettronica (potentissima fonte di distrazioni e interruzioni!) e pianificando i momenti da dedicare alla lettura e alla risposta alle e-mail ad intervalli dedicati e – anch’essi – focalizzati.

Altrettanto importante segnalare a chi ci circonda – soprattutto a casa – quando siamo concentrati e non vogliamo essere disturbati. Può bastare un semplice segnale concordato, come un post-it appeso alla porta o il fatto di indossare delle cuffie. Ciò che conta è rendere evidente che in quel momento abbiamo bisogno di restare focalizzati e di non essere interrotti.

In campo sanitario, ad esempio, una pratica simile ha ridotto del 47% gli errori commessi dagli infermieri durante le procedure di somministrazione di farmaci complessi[5].

In aviazione è invalsa da decenni la regola della cosiddetta “cabina sterile”: nelle fasi più critiche del volo – ossia decollo e atterraggio – è vietata ogni conversazione o attività non strettamente pertinente le procedure operative standard. [6]

La seconda buona pratica consiste nel non dimenticarsi di fare pause frequenti.

Studi scientifici, infatti, hanno dimostrato che la curva dell’attenzione dura meno di 1 ora e per questo motivo è importante fare delle brevi pause che siano rigeneranti per la nostra mente.

Sono sufficienti 3-5 minuti ogni ora, che – però – non devono diventare una scusa per controllare le mail, ma devono essere momenti in cui “staccare la spina”. Ad esempio, facendo una breve camminata tra il salotto e la cucina, bevendo un bicchiere d’acqua, scambiando due chiacchiere con chi si trova a casa con noi, o ancora, uscendo sul balcone per prendere una boccata d’aria fresca.

Fare pause brevi ma ripetute ci permette di non arrivare “a secco” a fine giornata e di rigenerare spesso la curva della nostra attenzione.

Imparare a dominare le distrazioni che ci circondando, a focalizzare la nostra attenzione su un’attività alla volta e a sfruttare le nostre energie mentali sapientemente sono i passi fondamentali per lavorare in modo SMART!

 

[1] “Smart Working – what to improve when the emergency is over?”, morningfuture.com, Giugno 2020, https://www.morningfuture.com/en/article/2020/06/26/smart-working-emergency-mariano-corso-cgil/953/

[2] Vacca M., “Mariano Corso (responsabile Osservatorio Smart Working): lavoro agile alla ribalta al tempo del Covid-19”, businessinsider.com, Marzo 2020, https://it.businessinsider.com/mariano-corso-responsabile-osservatorio-smart-working-lavoro-agile-alla-ribalta-al-tempo-del-covid-19/

[3] Dux P. et al, “Isolation of a Central Bottleneck of Information Processing with time-resolved fMRI”, Neuron¸ vol. 52, No.6, Dicembre 2006

[4] Altmann E. et al, “Momentary interruptions can derail the train of thought”, Journal of Experimental Psychology: General, vol. 143, No. 1, Febbraio 2014

[5] Wood D., “Decreasing disruptions reduces medication errors”, RN.com, 2009, https://www.rn.com/Pages/ResourceDetails.aspx?id=3369#:~:text=Reducing%20distractions%20during%20medication%20administration,facilities%20safer%20medication%2Dpass%20processes

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Sterile_flight_deck_rule

 

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Il benessere in Smart Working inizia dalle buone abitudini!

Quest’ultimo anno ci ha messo davanti al più grande esperimento di gestione del cambiamento della storia recente, costringendoci a rinunciare improvvisamente a cose che davamo per scontate ogni giorno.

L’impossibilità di recarsi fisicamente al lavoro è sicuramente una di queste e l’avvento dello Smart Working ha evidenziato ben presto la necessità di adottare comportamenti e modi di organizzare le attività totalmente differenti da quelli tradizionali.

Vi siete mai chiesti quanto il nostro comportamento sia intenzionale e quanto, invece, dipenda dalle abitudini?

Secondo un celebre studio della Duke University, oltre il 40% di quello che facciamo in una giornata tipo è frutto di abitudini. Le abitudini sono comportamenti che iniziano come scelte intenzionali e ponderate e che, progressivamente, si trasformano in azioni automatiche e modi di fare a cui si smette di pensare.

L’arrivo del Covid-19 ha però obbligato tutti a mettere in discussione la propria quotidianità, abitudini comprese.

Da un lato questo può averci destabilizzati. È ormai noto, ad esempio, che quando si lavora da casa – senza i tradizionali confini di spazio e tempo connessi alle routine dell’ufficio – rischia di verificarsi quello che possiamo definire un “effetto gas”: il tempo del lavoro tende a riempire tutto lo spazio disponibile, proprio come un gas occupa tutto il volume a sua disposizione. Confusione, sovraccarico, percezione di non riuscire a “staccare la spina” sono sensazioni tipiche di questa destabilizzazione dei nostri schemi.

Dall’altro lato, tuttavia, la rottura repentina delle abitudini consolidate può rappresentare una grande opportunità di pensare, instaurare e consolidare routine nuove, migliori, che facilitino il raggiungimento dei nostri obiettivi e promuovano il benessere in tempi così difficili.

Per capire come costruire nuove buone abitudini, la prima cosa da fare è chiedersi come nasce e si rinforza un’abitudine.

Lo schema è questo:

  • In una situazione nuova, la formazione di un’abitudine inizia con l’identificazione di un segnale. Qualsiasi cosa può costituire un segnale: un evento, un luogo, un’emozione, un’altra abitudine già esistente… Ad esempio, il momento del rientro a casa dall’ufficio è un tipico segnale per la mente di “cambiare modalità”.
  • A questo segnale si reagisce mettendo in atto una routine, cioè il comportamento che diventerà, con il tempo, l’abitudine. Sempre nel nostro esempio, il segnale del rientro a casa fa scattare comportamenti abitudinari: cambiarsi, fare due chiacchiere, coccolare il gatto…
  • A seguito della ruotine arriva la gratificazione, la quale può assumere diverse forme: una sensazione fisica, un appagamento emotivo o semplicemente il piacere di aver fatto qualcosa La sensazione di relax, il sollievo dallo stress, il pensiero “per oggi ho finito” sono tutte tipiche gratificazioni che rinforzano l’associazione tra segnale e routine, nel nostro esempio.

Man mano che questo ciclo si ripete le abitudini si consolidano nella mente, fino al punto in cui, alla sola vista del segnale, una scarica anticiperà la sensazione di gratificazione, facendoci sorgere il desiderio o il bisogno di mettere in atto la nostra routine. Pensiamo, ad esempio, ai fumatori: spesso il bisogno di accendere una sigaretta scatta in concomitanza con segnali tipici, come bere il caffè dopo pranzo, fare una pausa o sentirsi semplicemente stressati.

Il punto è che lo Smart Working ha stravolto completamente il nostro sistema di segnali ed è per questo che il semplice fatto che non ci sia un cambio di ambiente fisico quando si lavora da casa può portare facilmente al rischio che a risentirne possa essere la vita privata.

Come costruire nuove e buone abitudini da usare in Smart Working?

Costruire una nuova abitudine non è difficile, ma richiede di seguire un metodo per far sì che si inneschi il circolo di rinforzo di cui abbiamo parlato poco sopra.

Per fare un esempio, immaginiamo di voler migliorare la nostra capacità di pianificare la giornata lavorativa, abituandoci a fare una programmazione quotidiana delle attività.

Innanzitutto, è necessario identificare un segnale che sia semplice e chiaro. Un momento specifico della giornata, un’azione che compiamo, il luogo in cui ci sistemiamo per lavorare. Ad esempio, l’atto di sedersi alla scrivania e accendere il computer può essere un buon indizio da utilizzare.

A questo punto occorre definire in maniera precisa la routine che vogliamo instaurare, rispondendo alle domande: “cosa voglio fare?” “come voglio farlo?” “quando voglio farlo?”.

Nel nostro caso, potremmo dire che la mattina, non appena acceso il computer, vogliamo scrivere una to-do list della giornata, classificando ogni attività per importanza e urgenza e stabilendo l’ordine delle priorità prima di iniziare.

Il terzo tassello è quello di associare al completamento della routine una gratificazione: è importante scegliere attentamente un “piacere” da concedersi solo una volta che la routine sarà completata. Ad esempio, per chi è amante del caffè, una tazza fumante da prepararsi una volta terminata la to-do list rappresenterà una buona soluzione.

Una tecnica utile da mettere in pratica per associare una gratificazione alla nostra routine può essere quella del temptation bundling. Consiste nel fare insieme tra loro una cosa “da fare” (la routine) e una che invece è “piacevole fare” (la gratificazione). Nel nostro caso, si potrebbe quindi bere il caffè mentre si pianifica la propria giornata.

Per avviare il circolo (virtuoso, in questo caso!) manca solo un elemento: creare la cosiddetta “anticipazione della gratificazione”. Se quindi la gratificazione per aver pianificato bene la giornata è bersi il meritato caffè, ogni mattina, mentre il computer si avvia, è bene dedicare qualche istante per pensare all’aroma del caffè, al suo profumo e a come ci sentiremo carichi una volta che avrà fatto effetto. Questo esercizio di immaginazione aiuta il cervello ad associare sempre di più la gratificazione al suo segnale e – quindi – all’abitudine comportamentale che vogliamo consolidare.

Le abitudini disfunzionali

Talvolta però ci troviamo davanti ad abitudini che si rivelano disfunzionali. Cosa fare in questo caso?

È importante sapere che le abitudini non possono essere cancellate, ma soltanto sostituite da altre abitudini.

Immaginiamo, ad esempio, che quando lavoriamo da casa abbiamo spesso la tendenza ad alzarci dalla scrivania e rovistare nella dispensa, alla ricerca di qualche dolcetto.

Per prima cosa è necessario descrivere chiaramente la routine, ovvero il comportamento da sostituire. In questo caso: “alzarsi dalla scrivania e andare a mangiare un cioccolatino in cucina”.

Poi occorre identificare con precisione il segnale che la innesca.

Per farlo, quando si presenta lo stimolo che ci induce a mettere in atto il comportamento di cui vogliamo liberarci (alzarci e andare a mangiare un cioccolatino) ci si può annotare il luogo, il momento della giornata o lo stato d’animo che viviamo in quel momento. Ripetendo questo esercizio per 3 o 4 volte sarà possibile trovare delle regolarità: ad esempio la “cattiva abitudine” potrebbe essere associata a momenti in cui siamo impegnati in attività noiose o ripetitive, che preferiremmo di gran lunga non fare.
A questo punto è necessario capire qual è il bisogno che l’abitudine disfunzionale va a soddisfare, ovvero qual è la gratificazione che la mantiene attiva. Lo si può fare, per prove ed errori, sperimentando routine diverse ogni volta che compare il segnale.

Ad esempio, la volta successiva che notiamo il segnale “mi sento annoiato e poco motivato”, potremmo alzarci, andare in cucina e bere un bicchiere d’acqua. La volta successiva potremmo, invece, alzarci e fare due passi, magari uscendo un attimo di casa. O, ancora, potremmo decidere di mangiare un frutto.

Quello che è importante è che, dopo ogni “nuova” sperimentazione, ci interroghiamo rispetto a come ci sentiamo. Se la sensazione provata è positiva e di “appagamento”, allora abbiamo scoperto una nuova e migliore abitudine in grado di sostituire la precedente in modo efficace.

Non resta dunque che completare l’ultimo passaggio per chiudere il cerchio: associare il segnale e la nuova routine, anticipando ogni volta il senso di gratificazione che proveremo e che stavolta sarà doppio: sia per la sensazione piacevole del fare due passi o del mangiare un frutto fresco, sia per l’orgoglio di aver evitato una volta in più una cattiva abitudine.

In sintesi: le abitudini possono essere le nostre migliori alleate o le nostre peggiori nemiche.

Conoscere il meccanismo con cui agiscono e si consolidano è il passo fondamentale per volgerle a nostro favore e costruirne di più… SMART!

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L’importanza di Task e Time Management nel nuovo mondo “Phygital”

Nell’articolo “Smart Attitude for Working Smart” pubblicato lo scorso 28 settembre, si evidenzia come il task management sia una delle dimensioni chiave da sviluppare per abbracciare le nuove modalità di lavoro smart e performare al meglio nei nuovi contesti “phygital”.

A cosa ci riferiamo quando parliamo di task e time management?

  • Il Task Management è il processo di gestione delle attività lavorative, dalla loro pianificazione alla realizzazione. Il processo di task management si chiude con la rendicontazione, utile a migliorare le successive pianificazioni
  • Il Time Management consiste nel saper gestire il tempo lavorativo a disposizione con efficacia ed efficienza, sfruttando tutte le risorse per essere il più produttivi possibile nel minor tempo possibile, sia individualmente che in team.

Questi due aspetti sono strettamente collegati tra loro.

Gestire al meglio le attività lavorative porta a ottimizzare le risorse, tra le quali la più preziosa è sicuramente il tempo; così come, gestire bene il tempo proprio e altrui è essenziale per chiudere attività e raggiungere obiettivi.

L’agilità con la quale oggi è necessario muoversi nei nuovi contesti “phygital” ha reso centrali i temi legati al task e time management. Per incrementare la gestione concreta di tempo e attività si può agire principalmente su due ambiti distinti ma assolutamente interconnessi:

  • competenze soft abilitanti
  • strumenti tecnologici a supporto

Il ruolo delle persone: competenze soft per task e time management

Per riuscire nel task e time management è necessario un cambio di prospettiva che, anche se in linea con il nuovo modo di lavorare, non è scontato. È infatti importante da un lato entrare nella logica del lavoro per obiettivi, dall’altro considerare il tempo come risorsa limitata e flessibile. Per questo, fornire le competenze abilitanti al task e time management, significa:

  • alimentare il passaggio dal lavoro per attività al lavoro per obiettivi
  • creare consapevolezza sugli elementi che influiscono sul nostro tempo e imparare a controllarli
  • trasmettere il valore della collaborazione e dello scambio di informazioni all’interno dei team e tra team di lavoro.

Le competenze abilitanti task e time management possono essere mappate e sviluppate grazie alla definizione di percorsi di assessment e sviluppo ad hoc, che seguono tre fasi principali:

  1. Assessment sulla smart attitude: grazie a questo strumento è possibile mappare le competenze utili al lavoro smart in generale e, nello specifico, a migliorare la gestione di attività e tempo
  2. Creazione di profili personalizzati volti a valorizzare i champion in ambito task e time management
  3. Inserimento in percorsi di sviluppo ad hoc e peer-to-peer learning focalizzati su gestione di attività e tempo

Sfruttare la potenza della tecnologia: gli strumenti a supporto di task e time management

Sono oggi disponibili diverse soluzioni tecnologiche che possono facilitare la gestione di tempo e attività. Applicazioni quali Trello, Wrike o Checky possono rappresentare un valore aggiunto non solo per i fruitori ma anche per l’organizzazione. Qualsiasi sia lo strumento scelto però, è importante che vengano adottate linee guida specifiche, in armonia con le esigenze di tutti i livelli di interesse (individui, team e organizzazione). Per questo è utile strutturare dei percorsi di ricognizione e adozione degli strumenti di task e time management che permettano di concretizzarne il valore aggiunto. Ecco, quindi, i 6 step da seguire per ottimizzare quello che già esiste ed eventualmente identificare strumenti più adatti:

  1. Analisi degli strumenti attualmente in uso attraverso interviste ai referenti IT/organizzazione/Smart worker
  2. Rilevazione del fabbisogno di strumenti di time e task management attraverso una survey sull’esperienza di lavoro da remoto
  3. Identificazione delle caratteristiche degli strumenti attuali e funzionalità non sfruttate attraverso analisi SWOT sugli strumenti in essere
  4. Identificazione delle funzionalità più rilevanti e co-costruzione di modi d’uso attraverso incontri di design thinking con un campione di Responsabili di team
  5. Definizione di scenari di diffusione to-be degli strumenti/funzionalità identificati come prioritari
  6. Messa a terra della diffusione e valorizzazione dei vantaggi sull’introduzione di strumenti/funzionalità target attraverso casi d’uso e infografiche

Il nuovo contesto “phygital” ha reso necessario un approccio sempre più agile al lavoro, che richiede velocità di movimento ed esecuzione. I benefici del task e time management in questo sono molteplici, dall’ottimizzazione dei tempi di esecuzione, alla velocità di coordinamento fino alla visione d’insieme. Pertanto, è fondamentale impostare il nuovo modo di lavorare tenendo in considerazione anche questo tassello e svilupparlo nel modo corretto per trarne il massimo valore aggiunto.

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Smart Attitude For Working Smart

L’emergenza sanitaria ha costretto le organizzazioni ad accelerare o, spesso, a istituire da zero l’implementazione del lavoro smart. Tuttavia, data la repentinità dell’adozione delle misure precauzionali, molte aziende hanno riscontrato rilevanti difficoltà nel riuscire a godere dei vantaggi che questo nuovo modo di lavorare offre sia alle persone sia al business. Per non disperdere le energie e apprendere dall’esperienza vissuta su cosa possiamo investire?

La nostra risposta è sviluppare la Smart Attitude

Che cos’è la Smart Attitude?

Nell’articolo Smart working: soltanto una questione digital? avevamo già messo in evidenza quanto le competenze trasversali, in combinazione a quelle digitali, siano necessarie per mettere a frutto le opportunità che le risorse tecnologiche offrono. Per Smart Attitude si intende l’insieme di competenze e attitudini che permettono alle persone di essere coinvolte nel processo di cambiamento, sviluppando consapevolezza sulle aree di sviluppo su cui lavorare per costituire una modalità di lavoro smart che sia confacente alle esigenze delle persone e dell’organizzazione stessa.

Come fare a evolvere la nostra organizzazione rispetto allo Smart Working? Puntando sulle risorse delle persone.

Per farlo è prima di tutto necessario mapparle attraverso un assessment che rilevi le competenze in ambito di:

  • Digital skills & behaviours, ovvero competenze in ambito digitale;
  • Change attitude, ovvero l’attitudine al cambiamento e la propensione a esserne promotori;
  • Innovation & Entrepreneurship, ovvero competenze e attitudini in termini di innovazione e proattività;
  • Social agility, ovvero abilità nel leggere le relazioni con gli altri come risorse per lo sviluppo continuo;
  • Task management, ovvero la percezione di essere in grado di utilizzare appieno le risorse tecnologiche messe a disposizione.

Una volta mappate le risorse possedute dalle persone, è necessario sviluppare le competenze chiave per coltivare la propria Smart Attitude e contribuire attivamente alla trasformazione del lavoro in azienda. Tali competenze sono:

  • Orientamento agli obiettivi: lavorare in smart working vuol dire lavorare per obiettivi, traguardi da raggiungere;
  • Fiducia: su cui costruire non solo le relazioni capo-collaboratore ma anche quelle fra colleghi;
  • Organizzazione e pianificazione: essere in grado di gestire le attività funzionali al raggiungimento degli obiettivi prefissati;
  • Comunicazione: intesa sia come fluidità dei flussi informativi sia come efficacia nel dare e richiedere feedback.

Possedere Smart Attitude vuol dire anche conoscere e saper adottare gli strumenti che facilitano la trasposizione dei processi lavorativi nella modalità agile.

Infatti, progettare il lavoro smart con l’intento di traslare i medesimi processi e le medesime dinamiche dal canale offline a quello online segnerebbe un implicito fallimento nel raggiungere lo scopo data la profonda differenza che c’è fra le due modalità. Pertanto, risulta necessario riformulare la concezione del lavoro in termini di autonomia e flessibilità nella gestione del lavoro, che non può prescindere da relazioni di fiducia e trasparenza tra colleghi.

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